La Storia

Ultima modifica 19 gennaio 2024

Pubblicazione libro PIOSSASCO RITROVATO  (1898-1960) Immagini delle trasformazioni urbanistiche di un paese


La Storia di Piossasco, dalle Origini al Secondo Dopoguerra

Dalle Origini al Basso Medioevo

Una prova e parecchi indizi di antichissimi insediamenti a Piossasco

Il territorio di Piossasco vanta condizioni climatiche particolarmente favorevoli. Il suo microclima ha favorito insediamenti umani sin dell'età del ferro.. Nel complesso morfologico di S. Giorgio, della Montagnassa e del Monte della Croce, sono state individuate fasi di cultura materiale risalenti all'età del ferro e incisioni rupestri da collocare tra l'età del bronzo e l'età del ferro. Tra queste, particolarmente interessante un masso con 148 coppelle di varia dimensione, generalmente di forma semisferica, in parte congiunte da canaletti. L'incisione interessa una superficie quasi piana di circa quattro mq. e presenta le stesse caratteristiche di quelle presenti sui massi erratici della collina morenica di Rivoli-Avigliana.

Un territorio centuriato nella dominazione romana

Scarse le informazioni sul periodo pre-romano e romano. Alcuni studiosi di toponomastica fondano l'ipotesi di una presenza diffusa dei Liguri in Piemonte sulla quantità di toponimi in -asco, per lo più apposto al nome di un personaggio in qualche modo ragguardevole. Su questa considerazione si potrebbe fondare, anche per Piossasco, la debole ma plausibile argomentazione in favore dell'origine ligure, mentre nulla è possibile ipotizzare per il successivo periodo in cui il Piemonte passò sotto la dominazione celtica. Il riottoso Piemonte alpino e prealpino fu sottomesso dai Romani solo nel periodo di Augusto, quando attorno a Torino fu disposta una rete di villaggi, con funzioni agricolo - pastorali, ma popolati con consistenti assegnazioni di terre ai veterani, per accrescerne l'affidabilità dal punto di vista politico e militare. Nella porzione del Torinese in cui è situata Piossasco sono noti numerosi ritrovamenti avvenuti in modo casuale ed in epoca non tanto recente. Ma l'estrema sporadicità (per lo più qualche tomba e qualche epigrafe) non permette di collegarli con certezza ad insediamenti precisi e identificati.

Da chi e quando venne costruito un castello a Piossasco

Nessun dubbio invece per il Medioevo: Piossasco non solo è sede di insediamenti, ma è dotata di castello. La prima testimonianza certa di un castello a Piossasco risale al 1037 e rimanda ad interessi dei marchesi di Torino, ma è probabile che il primo incastellamento di Piossasco sia più antico e risalga addirittura al periodo longobardo. Constatiamo infatti che la collocazione e la natura del sito, addossato al rilievo più avanzato verso la pianura, a metà strada tra le valli di Susa e del Chisone, era particolarmente vantaggiosa e non poteva non suggerire ai Longobardi l'iniziativa di collocarvi una delle numerose fortificazioni della loro rete difensiva puntiforme, indispensabile per contenere l'invadenza dei Franchi, padroni del tronco occidentale della valle di Susa. D'altra parte osserviamo che una porzione consistente delle rovine del castello più antico, databile al X o XI secolo e successivamente riedificata e ampliata, rivela una tessitura inequivocabilmente longobarda.

I marchesi di Torino e il loro funzionario nel castello di Piossasco

Le prime notizie sicure di una presenza politico militare residente nel castello di Piossasco, risalgono all'XI secolo. Apprendiamo che in quegli anni i marchesi di Torino detenevano nel territorio circostante la città e nelle valli di Susa e del Chisone una consistente presenza patrimoniale, della quale disponevano tra l'altro per generose donazioni ad enti monastici. Nell'XI e all'inizio del XII membri della famiglia marchionale o loro funzionari sono spesso presenti nel castello di Piossasco. Ciò dimostra che esso, non importa se preesistente e acquisito dai marchesi di Torino o edificato per loro iniziativa, costituiva uno dei punti significativi di irraggiamento del loro potere. Se poi si inquadra la vicenda di Piossasco, nel corso dell'XI secolo, nel processo di dissoluzione della dinastia arduinica, è facile intuire che quei funzionari marchionali furono certamente divisi tra l'interesse di avvalorare la legittimità della loro presenza nel castello, ribadendo il ruolo di custodi per conto dei marchesi, e l'aspirazione a patrimonializzarne la custodia.

Da funzionari dei marchesi a signori di Piossasco: rapporti legalizzati o usurpazioni?

Infatti i primi "domini de Plozasco" sono testimoniati ora come fedeli dei conti di Moriana (Merlo nel 1098), ora come "clienti" del vescovo di Torino, ora come usurpatori di diritti garantiti dagli stessi conti di Moriana (Gualtiero nel 1123 e nel 1134). Ma non abbiamo prove che siano ascendenti della famiglia signorile, sulla cui ramificazione dinastica possediamo testimonianze esaurienti solo a partire dal 1172 (Gualfredo di Piossasco, membro della "curia" sabauda). La precisa, anche se discontinua tradizione di fedeltà ai Savoia nel corso del XII secolo, fa però apparire assai verosimile un legame di parentela tra i soggetti testimoniati e un trapasso per via ereditaria del potere di custodia nel castello di Piossasco. Accertata l'origine e l'affermazione dei signori di Piossasco tra XI e XII secolo e constatato che essi formarono una piccola, ma robusta dinastia nella dissoluzione politica della marca arduinica di Torino, osserviamo che si proposero di fatto, in ambito locale, come eredi del potere pubblico nel periodo di transizione tra la grande circoscrizione politico amministrativa affidata agli Arduinici e la ricostruzione faticosa di un certo territorio statale intorno alla potenza dei conti di Moriana dalla fine del XIII secolo in poi

Il quadro territoriale di espansione della signoria

Nel secolo XII la zona a sud di Piossasco, comprendente i luoghi di Volvera, None, Airasca, Scalenghe, Castagnole, Vinovo, presentava una sostanziale carenza di potere pubblico: era perciò esposta ad un fenomeno di potenziamento locale. Verso questi luoghi l'espansione dei signori di Piossasco si diresse in forma giuridica assai varia e non uniformemente documentabile: allodiale o in collegamento feudale con i conti di Moriana.. Per definire la situazione non solo del XII, ma anche del XIII secolo, occorre dunque distinguere tra i vari luoghi interessati e tenere conto di numerosi collegamenti con i potentati del Piemonte. A Piossasco e a Volvera la famiglia signorile è presente da tempo anteriore rispetto alle altre località, in condizioni fluttuanti tra la subordinazione feudale ai conti di Moriana e una chiara tendenza a presentarsi come potere signorile autonomo. Per None, con testimonianze a partire dal 1235, è possibile che sia avvenuto un processo analogo a quello di Piossasco e Volvera, ma non abbiamo prove. Sembra che anche il castellano di None abbia goduto di una considerevole libertà di azione. Non diversamente per Airasca. Chiaro è invece il caso di Scalenghe. È certo che fin dal 1223 i Piossasco tenevano Scalenghe allodialmente, con una presenza di carattere patrimoniale che comprende anche il castello e i poteri giurisdizionali che ne emanano. Per allargare la loro sfera di preponderanza territoriale, i Piossasco ricorrevano sia a compere da altri proprietari, sia alla violenza, esercitata perfino con usurpazioni compiute ai danni di enti monastici, come l'Ordine degli Ospitalieri di S. Giovanni di Gerusalemme. I documenti di Castagnole e Vinovo consentono invece di accertare una dipendenza feudale dei signori di Piossasco da quelli di Castagnole nella fase in cui i Piossasco dominavano Scalenghe allodialmente, Ma i Castagnole, deboli e in fase di rapida estinzione, strinsero un collegamento che avrebbe lasciato i Piossasco padroni del luogo, per liberarsi da impegni cui non sarebbero riusciti a far fronte in altro modo. Ma l'espansione dei Piossasco non si limitò alla zona a sud di Piossasco. Si allargò in più direzioni, così da incontrarsi con altri poteri, a cui si rese necessario il collegamento mediante la pluralità degli omaggi.

La spregiudicatezza nei collegamenti politici è la chiave del successo del consortile

Già dalle prime testimonianze della famiglia signorile dei Piossasco si delinea quella che sarà, durante la seconda metà del secolo XII e la prima metà del XIII, una prassi consueta della famiglia: l'oscillazione fra la fedeltà sabauda e l'omaggio ad altri centri di potere. La pluralità degli omaggi fu dunque uno dei fattori che contribuirono alla loro affermazione dall'oscurità delle origini alla fama del XIII secolo. Durante la seconda metà del XII secolo, gli interessi dell'impero e dei conti di Moriana rimasero a lungo divergenti: ciò favorì un aumento di potenza del vescovo di Torino e, indirettamente, del comune di Torino che estendeva la sua sfera di influenza economica e politica sul territorio circostante. Gli omaggi alla chiesa e al comune di Torino furono appunto le più importanti alternative alla fedeltà sabauda che si offrirono ai signori di Piossasco nei luoghi di Testona, Rivoli, Piobesi e Beinasco.

La questione di Testona e di Rivoli "val bene" una cattura del vescovo

Le fonti forniscono scarsissime notizie sull'origine della presenza dei Piossasco nei due luoghi. Ma è probabile che risalga alla prima parte del XII secolo, negli anni in cui la debolezza dell'iniziativa sabauda in Piemonte consentiva una notevole libertà di azione. D'altra parte nel 1175 sia Umberto III di Moriana, sia Gualfredo di Piossasco erano a Montebello a giurare i patti di Federico I con la Lega Lombarda. L'evento testimonia il rinnovato peso politico dei conti e il conseguente indebolimento dell'iniziativa vescovile: situazione ideale per indurre i Piossasco a patrimonializzare in Testona e in Rivoli i diritti a cui la famiglia pretendeva. È così chiaro il senso dell'azione della chiesa torinese dopo il 1183, quando tentò una generale restaurazione dei propri diritti, che interessò anche i signori di Piossasco, con i quali, nonostante alcuni tentativi di accordo, si verificò per un ventennio una vera e propria guerra, in cui i Piossasco riuscirono addirittura ad imprigionare il vescovo. Assai interessante la questione di Testona, dove i Piossasco, forse grazie ad una consistente proprietà allodiale, erano arrivati a detenere la custodia del castello, da cui esercitavano il lucroso controllo del pedaggio sulla via che dal mare doveva attraversare il Po per puntare verso Torino. Altrettanto comprensibile la determinazione del vescovo ad estromettere i Piossasco da Testona: essa si concretizza negli accordi al termine delle ostilità con la rinuncia dei Piossasco alla quota di Testona, che però essi sottoscrivono solo in cambio del castello e della corte di Piobesi. Se per i signori di Piossasco la perdita di Testona fu definitiva, in Rivoli la loro presenza è invece ulteriormente verificata nel secolo XIII: essi vi detenevano in feudo dal vescovo un pedaggio tanto lucroso, da essere oggetto di spartizioni tra membri della famiglia e di appalti a terzi.

Il cittadinatico a Torino e l'affare Beinasco

Le divergenze con il vescovo della fine del XII secolo non impedirono ai Piossasco di allinearsi con il comune di Torino per bilanciare il legame con i Savoia che declinava verso una crisi: nel 1220 l'imperatore Federico II conferma il cittadinatico precedentemente giurato per Torino dai signori di Piossasco. Ma il collegamento con il comune di Torino non avviene solo in funzione antisabauda e non si limita al cittadinatico. I Piossasco miravano ad un progetto ambiziosissimo: approfittare della debolezza sabauda, stabilire buone relazioni con il comune per avere mano libera di insediarsi nella cerniera Testona, Beinasco, Rivoli, contigua al loro dominio e strategica per quanto riguarda le strade. Nel 1239 un Piossasco dona al comune di Torino, che glieli infeuda, il castello e il luogo di Beinasco con tutti i diritti. La donazione testimonia con evidenza il possesso allodiale di Beinasco, in cui i Piossasco erano presenti forse dalla fine del XII secolo e si collega in qualche modo all'espansione nella zona, coerentemente con la presenza in Testona, in Piobesi e in Rivoli. Comunque abbia avuto inizio la penetrazione dei signori di Piossasco a Beinasco, importa sottolineare l'iniziativa della costruzione del castello allodiale, che era recente e manifestava una preciso disegno (deviare i traffici provenienti dal mare e diretti verso la valle di Susa, evadendo il pedaggio di Torino) che preoccupava certamente il comune di Torino. L'impegno a rinunciare a questa speculazione è esplicitamente sottoscritto dai Piossasco nell'infeudazione del 1239. Non sappiamo però quanto tale impegno fosse rispettato in seguito. Sussistono dubbi, visto che solo nel 1288 si compone una controversia tra Piossasco e il comune di Torino per una questione di confini e di giurisdizione in Beinasco, nella località Drosso. Nell'accordo il comune fa ribadire, evidentemente in concorrenza con gli interessi dei Piossasco, che la propria giurisdizione si estende nei luoghi di Drosso, Vinovo e Stupinigi al di qua e al di là del Sangone. Appare evidente che il Comune di Torino fa di tutto per recuperare il controllo sulla zona attraversata dalla strada Testona - Rivoli che nonostante tutto continuava ad essere percorsa indebitamente.

Il collegamento con i Marchesi di Saluzzo e la presenza a Envie e Cavour

Infine, per comprendere il senso della presenza dei Piossasco in uno scenario non contiguo a Piossasco, occorre rifarsi alle vicende della guerra dell'inizio del secolo XIII tra il vescovo di Asti e i marchesi di Saluzzo. Nel contesto di tale guerra si stipula una pace tra i Saluzzo e il comune di Mondovì, alleato del vescovo di Asti: nel trattato il marchese non interviene di persona, ma tramite un suo inviato, Guido di Piossasco. Il collegamento non è casuale, ma assume particolare significato se confrontato con altri documenti, dai quali emerge tra i marchesi di Saluzzo e i signori di Piossasco un rapporto vassallatico riguardante i luoghi di Torriana, vicino a Cavour, e di Envie.

I Signori di Piossasco
Storia della Famiglia Signorile dalle Origini alla Decadenza

La ramificazione della famiglia

A partire da Merlo di Piossasco della fine dell'XI secolo comincia a prendere forma dapprima faticosamente e poi con sempre maggiore chiarezza la situazione genealogica della famiglia dei Piossasco. Il consortile, fin dall'inizio del XIII secolo appare ripartito in quattro rami principali. Non è possibile, se non con una laboriosa ricostruzione, definire le quote di possesso di ciascuno dei rami rispetto ai vari luoghi del territorio controllato dal consortile, anche perché nel tempo si verificò una certa oscillazione della distribuzione del patrimonio all'interno della famiglia. Si riferiscono perciò soltanto gli appellativi delle quattro ramificazioni principali: i "de Feys", i "de Federicis", i "de Rubeis", i "de Fulgore". Va comunque notato che nel processo di espansione i signori di Piossasco trovarono nella ramificazione della famiglia un fattore che, invece di generare quella debolezza che generalmente consegue alla divisione delle forze, si rivelò un elemento tale da favorire la politica del consortile .

L'intraprendenza del consortile si esaurisce progressivamente nella subordinazione ai Savoia

Nel XIII secolo i Piossasco non avrebbero voluto cambiare la tradizionale politica di oscillazione nelle fedeltà, ma sempre più importante e continua stava diventando la presenza dei Savoia nel Torinese. La coordinazione dei Piossasco entro la clientela sabauda si configura dunque in modo sempre più stabile proprio sulla base dei successi ottenuti nella zona dai Savoia nel corso del secolo. Ma nei primi sette decenni del secolo, se è vero che ci sono periodi di subordinazione, non si può ancora parlare di vera e propria coordinazione nella clientela sabauda: la subordinazione venne sempre subita dai Piossasco con profonda riluttanza, quando non sfociò addirittura in aperta ostilità, come durante la guerra di Tommaso II contro Asti e Torino. La svolta, dopo queste fasi alterne di progresso e di regresso, avviene dopo il 1270: ai signori di Piossasco non rimaneva che accettare stabilmente la clientela sabauda. Questo è il senso della loro presenza a Giaveno nel 1286 in un congresso di tutti i vassalli sabaudi della zona subalpina. L'inquadramento poi divenne ancora più rigido, dopo che, nel 1295, Amedeo V ebbe infeudato un terzo del Piemonte (nel quale terzo doveva essere compreso il dominio dei Piossasco) a suo nipote Filippo, il futuro principe d'Acaia, che porrà particolare cura a ricevere l'omaggio dei vassalli.

La comunità subordinata, vivace antagonista dei signori

Da tre controversie fra uomini e signori locali apprendiamo che alla fine del secolo XIII in Piossasco, in Scalenghe e in Castagnole esistevano delle comunità subordinate. A Piossasco la vertenza fra le parti pervenne ad un livello tale di tensione che si ricorse alla violenza, sedata solo con l'intervento diretto del vicario sabaudo. In un compromesso del 1292, con il quale uomini e signori ricorrono alla sentenza arbitrale di Amedeo V di Savoia, si precisa l'oggetto della controversia: si tratta principalmente di vertenze sull'organizzazione della comunità, sull'incolto, sull'esercizio della giustizia da parte dei signori e sulle contribuzioni dovute dagli uomini. Le vertenze sull'organizzazione della comunità sono di particolare interesse per Piossasco. Amedeo V sentenzia che in Piossasco si utilizzi una casa in S. Vito per radunare la "credentia", essendo il luogo più frequentato e quindi il più idoneo, in quanto centro del villaggio. Inoltre gli uomini vogliono che ai signori sia vietato turbare e reprimere lo svolgimento delle assemblee mediante loro inviati. Va detto al riguardo che Amedeo V dà torto agli uomini, lasciando inalterate le consuetudini di intervento dei signori e non acconsente alla richiesta degli uomini di aumentare il numero dei loro "sindaci" da due a sei. Miglior sorte ottengono altre rivendicazioni degli uomini: avrebbero dovuto cessare gli abusi dei signori sull'incolto destinato allo sfruttamento comune, nonché certe singolari deroghe all'applicazione arbitraria del diritto penale che i signori spesso formalizzavano addirittura con atti notarili. Per eliminare gli abusi Amedeo V sentenzia che da allora in poi l'esercizio della giustizia avvenisse in sedute pubbliche e secondo le norme codificate negli statuti, fosse sancito il diritto alla cauzione, fosse regolamentata la carcerazione preventiva e fosse precisata l'entità delle varie contribuzioni. Insomma è da un lato evidente che, sotto il dominio dei Piossasco le popolazioni locali riuscirono ad affermarsi, a contestare i signori e ad organizzare veri e propri comuni. D'altronde non è meno evidente che i signori, nonostante la contestazione, riuscirono a mantenersi con qualche saldezza: basti considerare quella clausola sui controllori delle assemblee.

La bonifica del Sangonetto: investimento economico e questioni politiche

Da una sentenza arbitrale del 1349 apprendiamo che i signori di Piossasco respingono un'opposizione dei signori di Trana, i quali avevano contestato la loro consuetudine a derivare, da Trana appunto verso Piossasco, un terzo dell'acqua del Sangone. Il documento non fornisce menzione sull'origine di tale consuetudine: ciò stupisce, visto il notevole interesse che rivestirebbe la notizia. Quali le ragioni della bonifica e quali ipotesi per datare la costruzione del canale, oggi chiamato Sangonetto? Alla favorevole situazione climatica e alla buona qualità dei terreni, non corrispondevano condizioni altrettanto fortunate per quanto riguarda l'idrografia naturale. Il Chisola e un suo piccolo affluente, il Tori, unici corsi d'acqua naturali di qualche rilievo a Piossasco, sono molto decentrati e, per la conformazione del terreno, non possono distribuire le acque, se non ad una modesta porzione di territorio. Chi dominava a Piossasco deve aver considerato indispensabile per la valorizzazione economica del luogo un ulteriore, adeguato approvvigionamento idrico. Ecco dunque il sistema di canali, tra cui il Sangonetto che, prelevata a Trana l'acqua dal Sangone, la conduce attraverso il territorio di Trana e Sangano, fino a riversarla nel Chisola, che scorre al confine opposto di Piossasco. Il Sangonetto costituisce la canalizzazione principale di un vero e proprio sistema idraulico capillare, lungo complessivamente alcune decine di chilometri. Circa i tempi della realizzazione dell'opera, non è azzardato supporre che anche qui, come a Pinerolo, ad Avigliana, a Susa, a Moncalieri ed in molti altri luoghi piemontesi, dove si moltiplicano le derivazioni ad uso agricolo da torrenti e fiumi locali, la bonifica risalga almeno al XIII secolo. Però a Piossasco la bonifica esulava dal territorio della signoria ed era tale da innescare contenzioso con i potentati limitrofi. Il problema da risolvere non era dunque di poco conto: si trattava di superare la sicura resistenza di coloro che avevano interessi opposti nello sfruttamento delle risorse idriche di un'area complessivamente povera d'acqua. Solo chi fosse in un certo senso preminente nella zona e non temesse che gli sforzi per la realizzazione di opere costose e difficili fossero vanificati da gelosie o risentimenti di potenti di ordine superiore, poteva avventurarsi in un'impresa di tale respiro. La questione non è semplice e va studiata, ma si possono avanzare due ipotesi per collocare cronologicamente la costruzione del sistema idrico. La prima si riferisce alla fine del XII secolo o ai primi decenni del XIII, quando abbiamo constatato la vivace intraprendenza e la spregiudicatezza politica dei signori di Piossasco nell'espansione del loro dominio: potrebbero aver proceduto con compere o usurpazioni alla costruzione di quel sistema di canali che avrebbe sviluppato strutturalmente la potenzialità produttiva di Piossasco. La seconda ipotesi muove da una coincidenza significativa: nel 1254 i Piossasco comprano la corte di Sangano dall'abbazia di S. Solutore di Torino, impegnandosi a rivenderla allo stesso prezzo al medesimo monastero in qualunque momento su richiesta dell'abate. Il riacquisto avverrà nel 1284. L'operazione ha tutta l'evidenza di un prestito con garanzia dai Piossasco a S. Solutore, ma è certamente singolare la coincidenza che il ricco ente monastico si sia avvalso dei Piossasco come mutuatari per una somma cospicua, poi restituita in un breve lasso di tempo. Sorprende ancor più il fatto che sia stata offerta come garanzia proprio Sangano che non aveva avuto mai relazione con il dominio dei Piossasco, pur essendo contigua con Piossasco. Proprio quel luogo di Sangano che costituiva l'unico ostacolo alla derivazione dell'acqua da Trana. È forte la tentazione di inferirne che le due vendite siano state stipulate per rimuovere con il temporaneo possesso fondiario di Sangano ogni opposizione all'apertura del cantiere della bonifica.

Signori, Uomini e Paesaggio: Piossasco dal Basso Medioevo ad Oggi

Il territorio (XIV-XI sec.)

Nel Basso Medioevgo Il paese dal punto di vista fisico presenta le medesime caratteristiche riscontrabili nelle terre del Nord Italia.
Gran parte dei confini comunali da nord-ovest a sud-est sono coperti da una ininterrotta distesa boschiva. La quercia, il castagno e il carpino dominano il territorio.
Nei primi secoli dopo il Mille la presenza dell'uomo è ancora scarsa; boschi e selve comunali sono popolati dal cervo, dall'orso e soprattutto dal lupo che vi regna per molto tempo incontrastato, tanto da lasciare traccia nella stessa toponomastica locale e dei paesi vicini.

Fonte di primaria sussistenza, dal bosco gli abitanti traggono legno con cui costruiscono vasellame e spazzole, rusca elemento base per la concia delle pelli, mentre dal sottobosco si alimenta una fiorente attività pastorale di animali da lana.

In questi secoli in cui prevale la natura sull'uomo, l'insediamento di Piossasco presenta isolate masserie, cenobi agricolo-religiosi dispersi nella pianura e sui primi rilievi, casali sulla vicina montagna di nord-ovest, piccoli grappoli di case con orti, giardini cintati, torri colombare e peschiere, presso il castello e ricetto a S. Vito, alla Cappella, al Marchile.
Particolare rilievo viene acquistando negli ultimi secoli medievali l'insediamento della Borgata, situato nella prima pianura lungo il rio Sangonetto. Il corso d'acqua, derivato dalla regione di Trana, ospita lungo le sue rive gli ingegni idraulici: mulini, battitori di rusca, di riso e segherie. In epoca moderna, questa contrada si propone come centro del paese, in contrapposizione a S. Vito, soprattutto dopo la scelta della comunità francescana, attorno al 1678, di costruirvi in essa un nuovo convento e di abbandonare quello sotto le mura del castello.

L'espansione degli insediamenti

Il declino di S. Vito e il decadere dei suoi simboli medievali segna il lento ma inesorabile volgere di un'epoca.
La prima metà del Cinquecento evidenzia una diminuita importanza della famiglia signorile dei Piossasco, consumata dallo sfaldamento del sistema feudali.
In questi primi decenni forti tensioni esasperano gli animi all'interno della comunità rurale, gravata da carichi fiscali sempre più esosi, a cui si aggiungono i pesi delle continue guerre, carestie, quando non infieriscano anche calamità naturali come grandine e inondazioni .
Parallelamente al declino politico si aggiunge quello economico e conseguentemente il progressivo spopolamento. Sterili si dimostrano i tentativi di rilanciare l'economia puntando sulle coltivazioni estensive come la cerealicoltura e la risicoltura. Anche la viticoltura non trova un momento favorevole nel generale calo dei prezzi vinicoli del XVI secolo.
Il consolidamento dello stato sabaudo in Piemonte, il suo darsi un apparato burocratico accentrato, una rete amministrativa capillare desiderosa di controllare la dispersiva economia del regno, finisce per ridurre i privilegi feudali su cui i consorti avevano contato per molti secoli nella gestione del loro potere, ma anche per sovrapporre una nuova rete di drenaggio fiscale che si somma a quella locale rendendo ancora più precaria la situazione della comunità rurale.

La decadenza della famiglia signorile

Il Seicento e Settecento ci presentano un paese molto diverso dai secoli precedenti; la famiglia signorile evidenzia forti segni di pauperizzazione. Frequenti sono in questo periodo le alienazioni di terre e i prestiti che i signori del luogo contraggono con mercanti ed ebrei per saldare i debiti. Sensibile è la riduzione del patrimonio consortile. Le vendite ridisegnano una nuova mappa delle proprietà signorili piossaschesi; fanno la loro comparsa come possessori nobili di antica e recente nomina con i Seyssel, i Porporato, i Chialamberto e tanti altri meno toccati dalla generale crisi della nobiltà.
Al languire delle rendite agricole e dell'economia del luogo, i consorti cercano di rimediare rispolverando vecchie abitudini, inserendosi nell'apparato militare sabaudo, negli ordini militari-religiosi , prestando servizio anche presso corti europee come nel caso di Ludovico Gaetano Piossasco de Feys e GianBattista Piossasco de Rossi che in terra imperiale e bavarese costruiscono la loro fortuna.

Il tramonto della piccola capitale feudale
La seconda metà del Settecento consolida una situazione che via via si era venuta delineando a partire dagli ultimi decenni del Cinquecento. La rovina patrimoniale dei consorti raggiunge il suo apice con la definitiva perdita da parte dei consorti delle cause sulle taglie comunali evase. Obbligati al risarcimento, sono costretti a vendere molte loro proprietà.
I più colpiti nel patrimonio sembrano essere i Piossasco de Feys che mettono all'asta tutte le loro terre libere, in pagamento di anni e anni di evasione. Anche gli altri rami del consortile devono rinunciare ad alcune loro proprietà e ai diritti sulle decime del vino e del grano per regolarizzare la loro situazione.
Il declino patrimoniale della famiglia non può non incidere sulle sorti del paese. La piccola "capitale" di quel vasto contado basso medioevale, che comprendeva almeno cinque paesi limitrofi, a poco a poco si fa piccolo borgo agricolo chiuso nella sua economia di sussistenza.
Tutto ciò pone fine a quella circolazione di persone che per secoli qui erano giunte in qualità di notai e funzionari signorili, nonché di artigiani, attirati dalla possibilità di lavoro che il fiorente feudo offriva. Piossasco diventa così un paese fra i tanti di quest'area.
La rivolta scoppiata nell'ultimo decennio del Settecento conduce al definitivo affrancamento dalle servitù feudali dei piossaschesi, pur nella sua convulsa e interessante vicenda, nulla aggiunge nulla toglie alla compromessa situazione del consortile e dell'economia locale.

Le terre della battaglia: la Marsaglia

L' incontro con la grande storia
Lungo il confine sud del territorio di Piossasco il 4 ottobre 1693 avvenne una famosa e cruenta battaglia, detta della Marsaglia o di Orbassano.Questa rientra nella serie di avvenimenti bellici che la Storia ricorda sotto il nome Guerra della Lega di Augusta.
Si fronteggiano in uno scontro campale le truppe francesi guidate dal maresciallo Catinat e le truppe piemontesi affiancate da quelle delle principali potenze europee.
La vittoria arrise ai francesi senza però modificare a loro favore le situazione politico-militare.
La località di Piossasco, immortalata nel quadro della Galleria delle Battaglie di Versailles e nella carta marmorea (copia di quella dell'ingegnere militare Laparà) che il Catinat tiene nelle mani nella Galleria degli Specchi, fu teatro degli avvenimenti prima e dopo lo scontro campale come molti paesi vicini. Dalle colline piossaschesi il generale francese osservò il campo di battaglia alla vigilia del combattimento.
Lungo la Strada Reale Vittorio Amedeo II tornava da Pinerolo dopo aver cinto d'assedio la città, diretto a Orbassano.

Nel primo mattino del 4 ottobre 1693 i due eserciti si diedero battaglia nelle campagne comprese tra la sinistra del torrente Chisola e la regione delle Gerbole di Volvera, lasciando sul terreno circa 13.000 morti.
Gli uomini d'armi più celebri del Seicento al servizio della politica assolutistica delle monarchie europee si trovarono qui di fronte: il principe Eugenio, il conte Pallfy, il marchese di Leganes, il principe di Commercy, il duca di Vendôme e molti altri.
Diversi paesi furono successivamente saccheggiati e incendiati dai francesi; questa sorte toccò anche a Piossasco. Undici furono i civili uccisi oltre a due militari originari del luogo.
Andò distrutto in questa occasione anche il castello del Gran Merlone, come risulta dalla annotazione del Priore di S.Vito nel registro dei morti :
" Proh dolor, et interim totum Catrum cum accessorijs, Burgiata, Marchile, Capella et Platea ardebant. Furores Martiales ac bellici reboabant ".
Il generale francese ritiratosi nel castello della Marsaglia, poco al di là del Chisola, per qualche giorno, stilò da questo la relazione per Luigi XIV. Per questo motivo la battaglia viene ricordata con questo nome in Francia. Diversi storici italiani preferirono chiamarla di Orbassano, in realtà l'avvenimento campale avvenne sui terreni piossaschesi e volveresi e in parte di Rivalta e Orbassano.

La memoria: l'evento ritorna
Il sacrificio di tanti uomini è ricordato a chi transita sulla vecchia Strada Reale dalla Croce Baronis; qui il 21 ottobre 1913 venne eretta una croce in pietra, per sostituire la precedente in legno.
I racconti popolari successivi all'avvenimento narrano di ritrovamenti di armi e di nascosti tesori. La più nota di queste "dicerie" è quella che vuole un fusto di cannone riempito di monete d'oro seppellito dai francesi e ricercato dai transalpini ancora decenni e decenni dopo la battaglia.
E' comune anche la memoria che i francesi siano scesi a onorare i loro morti, una volta all'anno, fino alla metà dell'Ottocento.

Le Campagne militari lungo la Strada Reale

La Strada Reale Vecchia di Pinerolo, così era chiamata questa carreggiabile negli antichi documenti catastali, dalla cascina del Castelletto proseguiva attraversando con un ponte in legno il torrente Chisola in direzione di quella delle Albere Vecchie, del pilone Ratè e della cascina Canta; incrociando la via comunale per Volvera, continuava il suo cammino lungo l'attuale tracciato della strada della Croce Baronis.

Basso Medioevo
Lungo questa strada di dipanò la storia piossaschese e in parte anche piemontese.
Al tempo in cui l'affermazione dei Savoia in Piemonte, non era ancora un fatto compiuto e le contese con il ramo cadetto degli Acaja aveva spesso qui il loro terreno di scontro, Piossasco e il suo contado poteva dirsi terra di confine e particolarmente esposta nelle vicende belliche.
Si ricordano in questi secoli lungo questa via di comunicazione i passaggi di truppe mercenarie inglesi, ungheresi e tedesche ingaggiate dal Conte Verde.

Nei Secoli moderni
le frequenti discese dei francesi, per opporsi agli eserciti spagnoli ed imperiali e più tardi per attuare la politica d'espansione dei loro sovrani, la posero al centro delle due fondamentali direttrici verso il cuore del Piemonte, e sovente con la conquista di Pinerolo da parte dei transalpini, come primo avamposto a difesa dello scomodo e invadente vicino.

Ricordiamo il passaggio di truppe al seguito di Carlo VIII, di Luigi XII e Francesco I in particolare lo stazionamento di truppe guascone. E ancora nel periodo dell'occupazione francese di Enrico II il passaggio di novemila lanzichenecchi mentre imperversava la peste.
La situazione non migliorò con la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo.
Transitarono per questa strada gli eserciti francesi guidati dal Lesdiguieres e dal Maresciallo De la Force. Nell'ultimo decennio del XVII sec., lungo il percorso di questa importante via di comunicazione, diversi furono gli scontri armati:
il Principe Eugenio di Savoia e truppe francesi si diedero battaglia, tra le Combe di Piossasco e i Luisetti nel 1690, qualche anno dopo si combatté la battaglia del 4 ottobre 1693.
Altre truppe francesi condotte dal De la Feuillade transitano nell'ottobre del 1705 nell'ambito della Guerra di Successione Spagnola.
Nel 1798 truppe francesi in marcia verso Pinerolo, sede del governo rivoluzionario, vengono attaccate da popolani realisti di Piscina, stanchi delle continue vessazioni.

Dopo tanta importanza, questa strada è oggi una anonima carreggiabile di campagna, in parte asfaltata in parte no. Anche l'antico ponte in legno, che ne metteva in comunicazione i due tratti attraverso il Chisola da tempo immemorabile, non è più stato ricostruito, il guado del torrente è poco praticabile.

Lo sviluppo dell' insediamento della Borgata

Gli ultimi secoli del Medio Evo vedono il paese svilupparsi in due direzioni, l'una rivolta verso sud-est e l'altra verso sud-ovest interessando anche se in modo marginale le pendici della montagna.

Frati e mulini per un nuovo sviluppo
Le case di San Vito o Piazza si disposero progressivamente lungo la ruata omonima e quella d'Augusta dando vita ad un altro insediamento chiamato Burgata (Borgata).
L'affluire di popolazione attorno a questo nuovo insediamento del paese decreta nel contempo il declino di San Vito, fino ad allora sede incontrastatadel potere signorile.
Il XVII secolo confermerà poi, con l'emancipazione religiosa, la definitiva affermazione dell'insediamento della Borgata come nuovo centro del paese.

Uno dei motivi del concentrarsi della popolazione nella parte bassa del paese è la presenza di tempo immemorabile di diversi mulini ed altri ingegni idraulici. Sono mulini di origine signorile detenuti fin dal Medio Evo dai consorti del luogo a cui si pagava la decima per macinare.
Il primo di questi mulini è sito sulla sponda destra del rio a monte del ponte Borgiattino. Comunemente detto "mulin 'd Tôbia", in epoca più recente l'antica struttura medioevale è stata modificata per lasciare il posto ad una più moderna costruzione.
Il secondo ingegno idraulico, sito sulla sponda sinistra quasi nel centro del paese, è ricordato con il nome degli ultimi proprietari, "mulin Rufinat".
Il terzo è sito in Via di Po. Detto "mulin comunal", ha cessato la sua attività verso gli anni settanta del nostro secolo. Negli ultimi anni di attività il vecchio sistema a macine venne affiancato da uno più moderno a rulli.

Il mulin comunale: questo mulino ha subìto nel tempo diversi rifacimenti, l'attuale costruzione dovrebbe risalire attorno al 1835.
Diviso in due dalla strada, dove si mettevano in colonna i carri, l'edificio si sviluppa in diverse parti: sulla destra, percorrendo la via Riva di Po (Antica via del Pellerino) verso est, troviamo l'abitazione e il mulino vero e proprio, sulla sinistra un porticato, una stalla con fienile e porcile. Era consuetudine che il mugnaio con gli scarti delle granaglie allevasse bovini e suini.
Da non dimenticare sono i risvolti proto-industriali del mulino. Non solo le sue ruote facevano funzionare le macine ma consentivano la macina delle noci per la produzione d'olio, del riso, dellai canapa (produzione di tessuti), della rusca (produzione di polvere di corteccia per la concia delle pelli).
Poco più a valle a formare un unico complesso produttivo, era sita la fucina di ferro che utilizzava l'acqua proveniente dal canale del mulino. Oggi anche questo edificio è abbandonato a se stesso.
Come si può comprendere, il canale del Sangonetto permise lo sviluppo di alcune delle prime attività non agricole di Piossasco. In modo particolare il mulino comunale, di via del Pellerino, fu nei secoli, fino quasi ai nostri giorni, uno dei centri economici del paese.

Dalla Rivoluzione francese alla fine dell'Ottocento

L'eco della Rivoluzione Francese giunse anche a Piossasco e alla fine del ''700 si tratteggiano nuovi assetti politico-sociali ed economici.

Venti rivoluzionari e nuove libertà
Una grave crisi sfociata in un tumulto nel 1791 solleva anche a Piossasco il problema dell'abolizione del sistema feudale e dell'esenzione delle decime dovute ai signori del luogo.
La ribellione alla potente famiglia signorile conduce ad una violenta repressione militare. Forte di una plurisecolare opposizione al potere signorile, la comunità di Piossasco è seguita da altre di paesi vicini come Volvera, Bruino, Cumiana dove un medico giacobino Antonio Boeri è disposto ad armare 300 volontari per correre in soccorso dei piossaschesi.
La breve stagione rivoluzionaria porta alla ribalta della vita cittadina uomini "nuovi" usciti dalle fila delle arti liberali: notai, veterinari, agrimensori, commercianti e possidenti.
Nel periodo napoleonico si formano uomini come Pietro Serra, Giuseppe Valente e Vittorio Zoppetto che per decenni anche dopo la Restaurazione occuperanno le cariche di sindaco e consigliere.

L'economia dei primi decenni dell' 800 rimane prevalentemente agricola; la cerealicoltura e la vite occupano gran parte del territorio coltivato. Il gelso ricopre ancora una sua importanza nell'alimentare una attività proto industriale come la bachicoltura. La montagna offre corteccia di quercia ad uso delle concerie, legname, lignite e castagne.
Oltre alle attività di supporto all'agricoltura, come bottai, carradori, maniscalchi e mugnai verso la seconda metà del XIX secolo nascono alcune attività commerciali e manifatturiere. Nel 1870 si contano sette magazzini di legna, tre di vino e suoi derivati, altri di canapa, frutta e maiolica.
Le attività manifatturiere presentano quattro opifici di brusche, due di liquori e uno di lampadine elettriche.
Alcune dinastie imprenditoriali come i Baudino e i Fenoglio guideranno il paese nel passaggio da una economia prevalentemente agricola ad una dove agricoltura e industria si affiancheranno. Conseguenza di questo peso sociale è la loro presenza a vario titolo nell'amministrazione comunale e nella sponsorizzazione delle associazioni solidali come la Filarmonica

L'agricoltura e la nascente industria

Piossasco nell'Ottocento segue una tendenza registrabile genralmente in tutto il Piemonte: aumenta la superficie vitata e la produzione di vino, ciò determina uno scadere della qualità e una caduta della domanda e dei prezzi.
Ulteriori fattori negativi come il crescere della fiscalità e la concorrenza di altri produttori mediterranei convoglia la sovrapproduzione verso fabbriche di distillazione a spirito.

I liquorifici di Piossasco
Una ciminiera a valle del "Ponte Nuovo" ci dice che probabilmente l'attività di alcuni liquorifici come la Baudino, la Reinaudi, la Oberto e la Pagliai è cominciata proprio in conseguenza di questa situazione regionale e che ha visto anche in altre province famiglie fondiarie e bancarie (Rossi, Cinzano, Calissano, Zoppa ecc) investire in questo settore.
A conferma del trinomio vino-distillazione-liquori troviamo a Piossasco, a fine Ottocento, magazzini di cremotartaro (residuato delle botti) da cui si ricavano distillati minori, prodotti farmaceutici e per tintoria.

La giovane classe borghese amante dei caffè e dei salotti consuma i suoi riti di relazione ed amicizia sorseggiando un vermouth o una marsala, gustando un pasticcino. Anche in questo settore Piossasco presenta qualcosa di interessante come la produzione del cavalier Annibale Mondino che da anonimo panettiere diventa imprenditore dolciario con la sua gamma di prodotti comprendente 105 squisitezze tra biscotti e pasticcini.

Il Novecento tra guerre e passione civile

Il Novecento è segnato dai grandi conflitti: la guerra coloniale in Libia e nel Dodecanneso contro la Turchia nel 1911 e nel 1915 il primo conflitto mondiale.
Pur trovandosi alla periferia degli avvenimenti bellici, il paese vive da vicino questo evento storico, non solo trepidando per alcuni suoi giovani abitanti presenti sui vari fronti ma anche condividendo la sorte di molti altri provenienti da ogni parte d'Italia.

A Piossasco a ridosso della collina di S.Valeriano un Poligono nazionale serviva da luogo di addestramento per le reclute inviate al fronte.Centinaia e centinaia di giovani irreggimentati nei corpi di fanteria, alpini, cavalleria sono stati ospitati nella casa dei "Tiri". Oggi di questa struttura rimangono poche mura lungo la strada che porta al vivaio provinciale.
Della "Grande Guerra" ci rimangono alcuni segni della pietà popolare, come i nomi dei caduti sul monumento di Piazza XX Settembre e dei partecipanti su una pergamena custodita per molti decenni presso la cappella dei Gaj.
Di molti reduci piossaschesi rimane nel Santuario di Trana un ex-voto di ringraziamento.

Segni e ferite della Seconda Guerra Mondiale
Il ricordo del secondo conflitto mondiale oltre a lasciare lutti in molte famiglie segna anche il territorio con la distruzione di opere significative della viabilità e del patrimonio artistico locale
E' il periodo successivo all' 8 settembre 1943, con l'occupazione tedesca, a portare la guerra a Piossasco. Un contingente Tedesco affiancato da Repubblichini si insedia nelle ville di S.Vito nei primi mesi del 1944.
Furono requisite Villa Boneschi (oggi Valvassori) per il comando, Villa Lajolo per il vettovagliamento, Villa Giordani e altre verso S.Valeriano per le truppe.
Anche la canonica subì la stessa sorte per le cucine.
Alcune garitte controllavano l'accesso lungo le tre direttrici per S.Vito. L'obiettivo di questa occupazione erano le montagne alle spalle del paese, dove si era organizzata la Resistenza. Martire locale di questa lotta partigiana rimane il piossaschese Mario Davide, morto in Val Sangone nel 1943
I mitragliamenti e cannoneggiamenti dalla provinciale dei rilievi, dove si rifugiavano sbandati e resistenti, nel luglio del 1944, porta alla distruzione della cappella di S.Valeriano. Si salva a stento il quadro del santo. La primitiva chiesa rivolgeva la sua facciata al Monte di S.Giorgio presentando una porta sormontata da icona, due piccole finestre e un rosone quadrato con grata. Fino alla fine del XVIII secolo possedeva annessa una piccola casa, dove vissero diversi eremiti.
La nuova chiesa fu costruita negli anni 1947-48 su progetto dell'architetto Cesare Filippi di Torino e per interessamento del vicario di S.Vito, don Fornelli. Il quadro originario del santo sembra risalire al 1785, il committente individuabile nel Priore don Valinotto.
Un'altra chiesa nel territorio di Piossasco ricorda questo triste periodo della Seconda Guerra Mondiale: la cappella della Madonna della Neve alle Prese.
Poco distante da questa chiesa vennero uccisi in quegli anni i coniugi Clementina e Pancrazio Garello, da mano rimasta ignota.
Il 28 aprile del 1945 le truppe tedesche lasciano il paese, minano i ponti, crolla il Ponte"Frusto", si salva quello "Nuovo" sulla provinciale, probabilmente per l'intervento del medico condotto dott. Silvio Silvani, illustre e stimato personaggio piossaschese, padre di quel dott. Gustavo Silvani che, nelle fila della "Brigata Garibaldi" combattè la sua personale guerra partigiana in Yugoslavia, distinguendosi anche nell'aiuto alle popolazioni locali.

Lo sviluppo industriale del secondo dopoguerra

L'attività agricola resta l'occupazione principale di Piossasco fino al 2° dopoguerra, quando cominciò l'esodo verso le fabbriche del torinese. Le poche aziende agricole si concentrarono e si ristrutturarono al punto che oggi 50 aziende lavorano i tre quarti della superficie coltivabile. La maggior parte di queste ha vocazione zootecnica da carne e da latte.

Dagli anni Sessanta, con un flusso praticamente continuo per un decennio, il paese raddoppia e supera la sua popolazione che agli inizi del '900 si aggirava tra le 3.500 e le 4.000 persone. E' la conseguenza di una tumultuosa migrazione dal Veneto e dal Sud di persone richiamate dal grande stabilimento di FIAT di Rivalta costruito sui confini di Piossasco e con FIAT Mirafiori a meno di 16 Km.

La grande industria metalmeccanica e meccanica legata alla produzione dell'auto soppianta le industrie locali le piccole attività artigiane sorte prima e dopo l'ultima guerra.
Negli anni Ottanta nel territorio comunale si insedia un'altra grande industria la Westinghouse, azienda leader nelle apparecchiature di sicurezza per i veicoli ferroviari, recentemente in parte assorbita dal Gruppo Ansaldo Trasporti che si occupa di apparecchi di segnalamento e controllo ferroviario, e in parte dalla SAB-WBCO.

L'oggi: alla ricerca di una nuova identità produttiva
Negli ultimi trent'anni del secolo, chiudono gli spazzolifici Fenoglio; la Baudino liquori viene assorbita dall'industria farmaceutica-alimentare Angelini di Ancona, si trasferiscono i Feltrifici Subalpino e SAVAL.
Anche La FRAP, l'industria meccanica di Piazza Baudino, si è da poco trasferita nella zona industriale di Bruino.
Delle decine di "Boite", piccole imprese artigianali, che ruotavano attorno al settore secondario avviando al lavoro centinaia di giovani ad inizio XXI secolo, restano poche tracce.
Una identità produttiva caratterizzante, una volta evidente, è oggi di difficile individuazione nel territorio di Piossasco, probabilmente da ricostruire.