I Beni Artistici
Ultima modifica 19 dicembre 2018
Piossasco è situata a circa 20 Km da Torino. E' facilmente raggiungibile:
con l'auto, dallo svincolo del Drosso-Mirafiori (raggiungibile con la tangenziale o percorrendo corso Orbassano fino al suo termine), si imbocca il raccordo autostradale per Pinerolo che si percorre fino a Volvera: qui, presso la barocca cappella Pilotti, si lascia l'autostrada e si segue la strada che collega Volvera a Piossasco. Sulla sinistra si nota la cascina Fernesa, poi tra le aziende piossaschesi si scavalca la circonvallazione e si raggiunge il 2° semaforo, dove si svolta a sinistra sulla strada per Pinerolo. Per la Borgata, il centro storico di Piossasco, al 1° semaforo di via Pinerolo si svolta a destra in via N. Sauro costeggiando il Sangonetto: nella rotonda si prosegue in via Kennedy per raggiungere il vicino parcheggio di piazza Pertini, punto di partenza ideale per la visita.
Per raggiungere invece Piazza o San Vito e i castelli, si prosegue su via Pinerolo per 1 km, lasciandola dopo il 2° semaforo per salire a destra lungo via Piatti e via Oberdan: svoltando a sinistra si entra nell'antico nucleo di Piazza, con piazzale ombreggiato dalla parrocchiale.
In pullman, con la linea della G.T.T. per Cumiana: il capolinea di Torino è in via Sacchi vicino a Porta Nuova: in città fa diverse fermate in corso turati e corso Unione Sovietica, poi raggiunge Beinasco, Orbassano e infine Piossasco, in 45 minuti circa.
Per raggiungere Borgata si scende alla fermata vicino al ponte del Sangonetto e a piedi si segue via N. Sauro e via Palestro.
Per Piazza si scende alla fermata successiva del Marchile da cui una passeggiata di 15 minuti lungo la "stà di babi" porta all'antico nucleo.
La Chiesa sul Monte San Giorgio
Sorge in posizione dominante sulla sommità del Monte San Giorgio, a quota 837 ed è raggiungibile con una piacevole escursione a piedi di circa 2 ore.
Il documento più antico che parla della chiesa risale al 999, quando compare in una transazione di beni tra il vescovo di Torino Gezone e il monastero di San Solutore; se ne parla nuovamente in una conferma degli stessi beni del 1018.
Nel 1064 la chiesa viene ricordata nella donazione della contessa Adelaide, marchesa di Torino, all'abbazia di Santa Maria di Pinerolo; la donazione è poi confermata nel 1122 da Papa Callisto II.
A questo periodo riportano i caratteri costruttivi e stilistici dell'edificio.
La chiesa è a tre piccole navate con absidi semicircolari e porticato.
Il catino dell'abside centrale mostrava, ancora agli inizi degli anni Ottanta, affreschi del XIV secolo, in seguito purtroppo manomessi da un furto.Una campagna di scavi archeologici, organizzata nel 1979 in collaborazione con l'Università di Torino, ha portato alla luce i resti e le strutture di una costruzione adiacente alla chiesa: probabilmente quel piccolo cenobio benedettino nominato in alcuni documenti di cui la chiesa era parte. Ora del cenobio, che sorgeva nello spazio in modesta pendenza che si apre ad oves della chiesa, non resta praticamente traccia. Nel 1654 la chiesa è ancora dell'abbazia di Pinerolo e tale resta fino al 1802 quando viene consegnata al governo francese.
I Castelli
Sullo sperone che dalla cima del Monte San Giorgio si protende verso sud fino alla pianura, si osservano un insieme di costruzioni che la tradizione popolare definisce "i castelli", anche se molti di essi sono semplici caseforti e palazzi.
Il più antico, che risale almeno al X secolo ed è situato nella posizione più elevata (457 m) è chiamato Castellaccio. Poco a valle del Castellaccio vi è il Palazzo Piossasco-De Rossi, dal nome del suo committente Gian Michele Piossasco-De Rossi: l'edificio del XVII-XVIII secolo è rimasto incompiuto e ricorda i palazzi sabaudi di Torino.
Ancora più in basso vi è il Castello dei Nove Merli, costruito probabilmente nel XIV secolo, ma ampiamente rimaneggiato e caratterizzato da una torre di recente costruzione.
Più a valle si trovano altre due costruzioni: quella ad ovest detta della contessa Palma di Borgofranco, ricorda nella struttura una casaforte; l'altra, situata ad est, presenta una serie di corpi a torre a cui successivamente si è collegato un lungo caseggiato ristrutturato all'inizio del Novecento: per il suo utilizzo nei passati decenni è nota come ex Casa salesiana e ora ospita una casa di riposo.
Edifici minori come stalle e depositi vengono ricordati da consegnamenti, carte e mappe, ma ne rimangono scarse tracce, come quelle dell'edificio prossimo alla porta Nuova, adibito per anni a casa del giardiniere.
Altre nove costruzioni signorili, castelli o semplici palazzine, vengono ricordati nel Borgo Piazza e si può presumere che corrispondano ad alcuni dei palazzi signorili del borgo.
Rimangono infine tracce e fondamenta di altri due palazzi consortili risalenti alla metà del XVIII secolo, i cui committenti erano il conte Vittorio Piossasco-Rivalba e il conte di Bardassano: i resti di questi edifici e di una porta pedonale si trovano in prossimità della fontana della Brinda, ma sono difficilmente individuabili.
Le mura di fortificazione
Dal Castellaccio scendono fino al livello di via del Campetto i resti delle mura di fortificazione, ben conservati soptrattutto lungo questa via. Partendo dal Castellaccio, le mura seguono sul versante sud-ovest il degradare della collina, poi volgono quasi ad angolo verso sud-est disegnando una sacca ovoidale.
In passato avevano forse il loro punto di svolta a un livello molto superiore rispetto all'attuale, che invece costeggia la strada panoramica: probabilmente le mura piegavano a est tra l'attuale castello dei Nove Merli e il palazzo detto della contessa Palma, dove si apriva una porta.
A rafforzare questa ipotesi, si segnalano le pretese dei rustici che rivendicavano come proprietà comune i terreni su questo pendio, nonché la presenza di nuove aperture, abbattimenti, ricostruzioni e ridotte a sud. Sembra dunque avvalorata l'ipotesi che l'angolo di sud-ovest della cinta muraria abbia subito nel tempo un graduale slittamento verso il basso, quando non era più prevalente l'interesse a consolidare le difese del castello, piuttosto quello di racchiudere e circoscrivere in un unico ambito le vecchie e nuove edificazioni signorili, sorte a scapito di terreni della comunità.
Sul versante che guarda San Vito le mura risalivano verso il Castello dei Nove Merli, con un tracciato visibile solo in minima parte.
Non è quindi agevole ricostruirne il tracciato, ma si può supporre che non abbiano mai inglobato il villaggio e che solo con alcune ridotte raggiungessero le case del borgo antico.
Il Castellaccio o Gran Merlone
Curiose entrambe queste denominazioni popolari.
La seconda riprende probabilmente l'appellativo "Merlo", frequente nella famiglia signorile dei Piossasco fin dalle origini.
La prima è forse dovuta ad antico disprezzo verso il simbolo del potere dei signori, oppure attribuita al castello per sottolinearne lo stato rovinoso dopo la distruzione delle armate francesi.
È il castello situato più in alto, quello più antico.
Sulla forma e dimensioni dell'edificio, distrutto dalle armate del Catinat nel 1693, ci rimangono solo rilevamenti catastali, annotazioni e uno schizzo del secolo scorso frutto della ricognizione dell'architetto portoghese D'Andrade che ci permette di cogliere alcuni particolari ormai cancellati dal degrado che va accentuandosi con il passare del tempo.
Pur usando un tono dubitativo, l'architetto rilevava in questi ruderi la presenza di costruzioni di almeno tre epoche distinte.
Nella parte più elevata individuava i resti di una torre e di un fabbricato quadrangolare con in cima delle finestrelle a feritoia strettissime che indurrebbero a pensare proprio ad una costruzione longobarda. Rilevava inoltre la presenza di una porta alta, a cui in un secondo tempo era stata appoggiata una scala a due rampe. La porta sopraelevata, secondo l'architetto, doveva condurre all'interno del castello.
La parte dell'edificio più vetusta, egli annotava ancora, si presentava cinta da mura giustapposte a modo di camicia, tutto attorno. All'interno, a sud-est, i resti di una torre-abitazione, mentre a nord, verso il colle della Croce, un campo quadrangolare recintato e poco più sotto in direzione di S. Vito, un accesso pedonale, la cui esatta individuazione era impossibile già lo scorso secolo, perché l'antico muro era stato sostituito in epoca più recente da uno a secco.
All'interno dell'angusto spazio recintato viene ricordata la presenza di una cisterna per l'acqua di forma rettangolare con volta a sesto acuto di dimensioni non eccezionali. L'architetto la trova simile ad un'altra, presente nel castello di Avigliana, e osserva che, con una così piccola riserva d'acqua, i dimoranti non dovessero essere molti, oppure fossero talmente sicuri di poter far fronte ad ogni evenienza.
Se il castello fosse un tempo inespugnabile è oggi difficile dirlo: è certo che le caratteristiche della collina ci fanno pensare ad una reale difficoltà ad attaccarlo in forze.
Il ripido degradare del lato ovest e sud-ovest, le fortificazioni sul versante opposto, l'aspetto impervio e selvatico con presenza di folta vegetazione, la mancanza di strade dalla parte di S. Vito erano una buona garanzia contro improvvise aggressioni.
A questo aspetto severo era affidata la dissuasione e la difesa, mancando fossati e ponti levatoi impossibili da attivare per la scarsa presenza di corsi d'acqua nelle vicinanza. L'unico rivo che scorre dalla vicina Montagnassa prende, attraverso una stretta gola, la via della pianura molto più in basso, verso la frazione Cappella e con il suo letto profondo e incavato contribuiva a rendere difficoltosa la salita verso il castello.
Appena fuori le mura, vicino al passaggio pedonale, c'era una fonte detta "della Brinda", da cui ancora in epoca recente, con un sistema di tubazioni, si faceva defluire l'acqua all'interno delle mura del ricetto. Più in basso sul versante sud ovest vi erano due pozzi, detti comunemente "della contessa". Anche il piccolo corso d'acqua ricordato che, a monte, passa in prossimità delle mura, nonostante il suo regime torrentizio poteva essere fonte di approvvigionamento idrico.
La capacità abitativa, visto lo sviluppo della costruzione, sembra via via essersi adeguata alle mutate esigenze e condizioni storiche.
La struttura più elevata, che ci fa pensare ad una torre-abitazione, non doveva essere molto capiente, mentre l'altra costruzione racchiusa nelle mura doveva avere una discreta ampiezza tale da ospitare, come risulta da documenti, alcuni dei signori di Piossasco con largo seguito di familiari e servi, fino al XVI secolo.
La Porta Nuova
All'osservatore medievale la collina incastellata doveva apparire molto più impervia e inaccessibile rispetto ad oggi: bosco e foresta si incuneavano tra case e prati, dando alla collina un aspetto impervio e selvaggio. Ancor oggi comunque lo sperone su cui sorgono i castelli non ha perso del tutto la sua imponenza; verso est lo scosceso pendio boscoso domina e ripara la conca di San Vito mentre a sud ovest il dirupato versante difende naturalmente lo sperone dei castelli.
Il castello che domina il luogo da questo rilievo sembra dunque volgersi più verso ovest e sud ovest piuttosto che verso San Vito. Questa considerazione è suggerita anche dal fatto che la più antica porta d'accesso attraverso il ricetto si apriva sul lato ovest: tale porta ora perduta, si chiamava di "Testafer". Invece la porta siutata ad est, attraverso la quale ancor oggi si passa provenendo da S. Vito è detta Porta Nuova o d'Oriente.
D'Andrade, pur avendo intuito che da qualche parte ci dovesse essere un secondo ingresso più importante e antico, nei suoi appunti annotava di non essere stato in grado di individuare la porta ovest e rilevava solo la Porta d'Oriente e una piccola porta pedonale sul sentiero della fontana della Brinda.
Le chiese di S. Pietro e di S. Anna
Le due chiesette erano situate all'interno dell'area fortificata, a breve distanza dal castello dei Nove Merli.
San Pietro è ricordata la prima volta in un documento del 1226, in una transazione tra i Signori di Piossasco e la certosa di Monte Benedetto (Val di Susa).
Anticamente munita di portico, aveva annesso un piccolo cimitero e conservava un affresco ora perduto dedicato a S. Pietro. Un recente restauro ha portato alla luce un ciclo di affreschi della seconda metà del XIV secolo: di particolare pregio una Madonna con Bambino e alcuni volti di santi fra cui Cosma, Damiano, Antonio Abate e Caterina. Nel XVI è dotata di un beneficio per le messe secondo il volere di Autilia Piossasco; fu anche sacello dei signori di Piossasco fino al 1933, quando vi fu sepolta Gabriella Piossasco-None, poi traslata in San Vito.
Poco più a valle della chiesa esisteva fino alla fine del XVIII sec. una cappella dedicata a S. Anna, ricordata nella visita pastorale del 1775. Fu probabilmente sacrificata alle esigenze della costruzione di un giardino all'italiana voluto dal conte Vittorio Piossasco: oggi ne rimane traccia in un'apertura, forse una porta, nel terrapieno del giardino che costeggia la rampa di accesso al castello dei Nove Merli.
Il Castello dei Nove Merli
Il castello risale probabilmente del XIV-XV secolo, e fu posseduto indiviso dal consortile dei Piossasco.
Una quota consistente fu detenuta dai De Feys e una dai De Rossi; nel 1775 uno dei proprietari è il conte di Bardassano, mentre dal 1834 l'edificio è di proprietà del conte Luigi Piossasco-None, padre dell'ultima discendente della casata.
E' l'unico edificio superstite nella sua interezza, assieme alla chiesa di S.Pietro all'interno del ricetto.
Evidenti sono i rimaneggiamenti, gli aggiustamenti tardivi, neomedievali, romantici come nel caso del camino interno e della torre merlata, sopraelevazione della seconda metà del XX secolo di un antico vano scala. La ristrutturazione in chiave moderna può esse fatta risalire verso il 1847 quando il proprietario il conte Luigi Piossasco-None attiva sostanziali lavori di rifacimento in quella che oggi è la facciata della galleria con i suoi archi a sesto acuto.
L'edificio può in qualche modo presentare elementi tardomedievali riconducibili al periodo della costruzione, oggi difficilmente individuabili. Alcuni elementi rinascimentali sono evidenti negli aspetti decorativi e altri neogotici sono il frutto dei rifacimenti ottocenteschi.
Anche nel nostro secolo dopo la morte dell'ultima discendente, il castello subisce delle trasformazioni: fu adibito a ristorante e successivamente a discoteca, piano bar e ancora ristorante. Nella struttura si individuano diversi piani: seminterrato, terra, primo, secondoe terzo.
Il primo presenta il soffitto a botte, forse dell'originaria costruzione medievale, il piano terra 14 vani di diversa dimensione, il primo piano 9 vani tra cui il vestibolo ,il salone del camino e la galleria della vetrata, la sala dei cartigli, delle mensole, verde e azzurra. Sono su questo piano i decori di epoca rinascimentale. Al secondo piano troviamo la cosiddetta stanza dei frati, adibita all'accoglienza dei religiosi che venivano al castello.
L'arredo è andato disperso nel tempo a causa dei saccheggi di guerra dell'età moderna ma anche gli oggetti ottocenteschi sono passati per via ereditaria di mano in mano e in parte vendute ad antiquari.
Castello Piossasco-De Rossi
In posizione intermedia tra il castello dei Nove Merli e il Castellaccio, sull'antico camminamento che portava a quest'ultimo, sorge un edificio del XVII-XVIII secolo incompiuto e molto segnato dal tempo.
Lo stile dell'edificio segna il passaggio dagli edifici militari e politico-patrimoniali al tentativo di costruire delle dimore di piacere nell'ambito del ricetto di Piossasco.
Il committente di quest'opera è GianMichele Piossasco De Rossi (1654-1732) personaggio eminente del periodo di Vittorio Amedeo II di cui imita nel piccolo il fervore edificatorio.
Pur essendo fondatore e comandante del reggimento Savoia, generale e cavaliere dell'Ordine SS.Annunziata non può permettersi questi lussi da mecenate anche perché la famiglia è numerosa. Tuttavia egli pose mano nei suoi feudi a varie opere come la ristrutturazione del castello di Virle e la costruzione di quello di None oltre a quello piossaschese. Il Manno dice che in questo modo rovinò il suo patrimonio per la smania e boria di fabbricare.
L'edificio presenta a chi lo osserva dal basso sulla destra un corpo più elevato di forma quadrangolare dove oltre le aperture si notano i movimenti del cornicione mattonato con due finte finestre.
Sulla parte sinistra la struttura presenta una porta arcata a pianterreno e due file di tre finestre corrispondenti ai due piani probabilmente con il tempo collassati.
Internamente rimane la grande cappa fumaria sul muro perimetrale e i piedi di appoggio delle solette. L'asimmetria della struttura è dovuta all'incompiutezza dell'opera che quasi certamente prevedeva lo sviluppo di un'altra ala sulla destra in modo da rendere centrale la parte sopraelevata.
Il progettista di tale opera è tutt'oggi ignoto ma da ricercarsi nella cerchia di architetti della prima metà del settecento come il Castellamonte, Juvarra o minori come Benedetto Alfieri e Ignazio Birago che lavorarono ad alcuni palazzi dei Piossasco.
Il borgo di San Vito o Piazza
Il primo nucleo del paese di Piossasco sorse a ridosso del ricetto come sua espansione esterna.
Un documento del 1387 lo descrive con la chiesa, la Confraternita e la grande porta d'accesso (oggi via San Domenico Savio).
Il borgo sembra aver avuto una sua vivacità economica sin dal Medio Evo: in esso avevano sede le prime attività produttive del periodo.
Attorno alla piazza si affacciano ancora oggi case signorili, popolari e la chiesa di S. Vito.
La chiesa compare in un documento del 1222 in cui viene ricordato Vito Pereto, primo Priore conosciuto.
In epoca moderna i Signori di Piossasco detenevano in città nove palazzi oltre ai castelli, fabbricati tra il XV-XVI secolo. Questi sono identificabili in alcuni edifici ancora presenti, e che passarono successiva mente ad altre famiglie nobili come i Borgofranco, i Piacenza, i Chialamberto, i Lajolo e i Filippi.
La chiesa con il monastero annesso fu tenuta prima dai Benedettini e poi dai Cistercensi, come dimostrano i primi sette parroci conosciuti a cui era attribuito il titolo di Priore. Divenne bene secolare nel 1452 quando l'ultimo Priore, Gabriele de Buri, monaco cistercense, si fece ridurre al secolo.
Nel Medio Evo il cimitero sorgeva nel terreno antistante la chiesa di San Vito, la stessa che ospitava nelle sue cripte i defunti del consortile ricreando in quell'ambito la comunità terrena.
Appena sotto i castelli, l'abitato di S. Vito presentava e presenta ancora tutt'oggi alcuni edifici significativi: palazzo Palma di Borgofranco, villa Piacenza e il convento di S.Antonio da Padova anche se quest'ultimo è andato distrutto nel XVII secolo.
Nel 1638 una comunità francescana appartenente all'Ordine Conventuale pose dimora nei prati sottostanti il castello e la bealera comune. Vi eresse chiesa, casa con dieci locali, orto e giardino cintato a muro. Dopo quarant'anni di permanenza in questo sito, accampando diverse motivazioni, i frati si trasferirono alla Borgata. La struttura subì i danni delle guerre e degli abbandoni e già agli inizi del XIX secolo non ne esisteva più traccia.
Palazzo Palma di Borgofranco è invece una casaforte risalente probabilmente al XV-XVI con annessi edifici civili e cappella dedicata a S.Cristoforo di cui esiste ancora l'icona sul muro di ponente lungo la strada che conduce alla Martignona e al Campetto.
Anticamente dai Piossasco passò nelle mani dei Palma di Borgofranco, signori di Rivarossa, probabilmente all'inizio del XIX secolo. Del Capostipite Pietro si conservava un dipinto fino a pochi decenni orsono.
A fianco di questo edificio troviamo villa Piacenza conosciuta dai più come l'ex-Casa Salesiana.
Si tratta di un edificio multiforme con una parte a diversi volumi turriti e una che si distende con ampie balconate verso levante.
Di difficile datazione la parte originaria appartenente ai conti di Piossasco, comunque databile tra XV-XVI secolo. Viene poi acquisita come dimora di campagna dal conte Piacenza primo presidente del Senato Piemontese e poi dai Salesiani che ne fanno un convalescenziario.
Alla fine dell'800 inizio '900 si possono far risalire i decori e le balconate vagamente liberty .
La chiesa della Confraternita
L'edificio attuale è la risultanza della fusione, avvenuta nei secoli, di tre cappelle contigue, legate a diverse confraternite religiose: la cappella dello Spirito Santo, quella del SS.Nome di Gesù e quella di S.Elisabetta.
Della cappella dello Spirito Santo, che sorgeva a destra della scalinata d'ingresso, rimangono soltanto un piccolo spiazzo e la parete laterale, che attualmente forma un tutt'uno con la facciata. Il fatto che si trattasse di una parete interna è testimoniato dall'acquasantiera infissa nel muro, da resti di affreschi quattrocenteschi.
La cappella del SS. Nome di Gesù è la più grande, con il portale su via S.Vito.Venne restaurata nel 1778. La decorazione degli interni venne fatta nel 1825.
La cappella di S. Elisabetta, che si apre all'interno a destra del portale, ha una pianta quadrata con volte a crociera. L'ingresso e il limite anteriore di questa cappella sono sottolineati da un ampio arco poggiante su due colonnine in stile romanico.
Affreschi quattrocenteschi nella Confraternita.
Della decorazione, che doveva occupare tutta la parete di fondo della cappella di S.Elisabetta, sono visibili oggi solo alcuni frammenti: la figura del Padre Eterno che presenta il Cristo Crocifisso; sul braccio della croce la colomba dello Spirito Santo.
A destra della Trinità si erge una bellissima figura, purtroppo senza volto, che colpisce per i colori e la morbidezza del panneggio. Potrebbe trattarsi di S.Giacomo Maggiore. Nella parte sovrastante, si può leggere, sulla destra, un altro affresco, venuto a sovrapporsi al precedente, che raffigura una Dormitio Virginis. Sulla sinistra, i pochi frammenti rimasti fanno pensare alla scena dell'Assunzione.
All'esterno, a destra della facciata, esistono residui di affreschi: una Annunciazione con le figure dell'Arcangelo Gabriele e della Vergine verso cui vola una bianca colomba.
Sulla lesena sinistra compare una decorazione con motivi vegetali fra cui si legge, in lettere gotiche, il motto "De bien en mieux" (appartenente alla famiglia dei Tana di Chieri ) sotto il quale si collocano lo stemma scolpito in marmo della famiglia De Buri e al di sotto ancora l'immagine di un giovane santo martire recante la palma.
Gli Affreschi interni sono databili alla prima metà del Quattrocento quelli esterni e la Dormitio Virginis sono più tardi.
Gli affreschi nell'antica canonica di S. Vito
Al secondo piano della ex-canonica, già sede del monastero annesso alla chiesa in un ambiente trasformato in corridoio, si trova un affresco di pregevole fattura composito con una crocifissione e varie figure di santi, venuto alla luce nei primi anni Sessanta.
La Crocifissione è scandita dalla figura del Cristo attorno a cui si raccolgono, in alto, i due ladroni e in basso, il gruppo delle pie donne e la coorte di soldati e dignitari. L'atmosfera è più tenera che drammatica. L'ombra indugia con chiaroscuro lieve. Un cielo vero ed un'apertura di paesaggio fanno da sfondo alle tre croci.
Il gruppo dei dignitari commenta in modo contenuto, quasi sussurrando, il tragico avvenimento. Le figure sono indagate nei tratti fisici ed espressivi dei volti; le tuniche ed i manti nonché la foggia dei copricapo sono resi con ricchezza di dettagli.
Più strettamente jaqueriano è il gruppo delle Marie, che con Giovanni si stringono alla Madonna in un muto e solidale cordoglio. Più di ogni altra figura domina la Maddalena, bellissima, le mani tremule, le lacrime a fior di ciglia. La figura cortese della donna astante, ridotta per la caduta del colore al disegno libero della sinopia, è come una delle eroine della sala baronale della Manta.
Nella fascia sottostante campeggiano Quattro Santi, che illustrano preferenze di culto locale. Da sinistra S.Cristoforo, S.Vito giovinetto, S.Sebastiano in abito da cavaliere e S.Antonio abate. Sopra il manto di S. Antonio è ben visibile il segno del TAU: ricorda la presenza in Piemonte dei Canonici Regolari di Saint-Antoine en Dauphiné, che in queste terre contavano numerose case tra le quali la celebre Precettoria di S.Antonio di Ranverso.
Tra i santi compare lo stemma di Gabriele De Buri, frate cistercense e parroco di Piossasco dal 1452 al 1486.
Gli studiosi concordano, seppur con diverse sfumature, nell'ascrivere quest'opera ad ambito jaqueriano collocandola intorno al 1460. Studi più recenti anticipano la datazione di circa un decennio e sottolineano il rapporto esistente tra l'affresco di S.Vito e la Crocifissione Abegg di Rogier van der Weyden.
La chiesa parrocchiale dei Santi Vito, Modesto e Crescenza
È la più antica delle due chiese parrocchiali di Piossasco.
Del primitivo impianto romanico, che si fa risalire all'XI secolo, la chiesa conserva l'abside e la parte inferiore del campanile
L'abside rivolta a levante, come in tutte le chiese medievali, è costruita con pietre di dimensioni varie, parti in gneiss grigio e verdognolo, strisce di mattoni. La cornice superiore è lavorata in cotto con modanature semplici; sotto corre una fila di mattoni disposti a dente di sega e poi archetti pensili su piccole mensole.
Il campanile, nella sua parte inferiore, più antica, è romanico. La sua muratura in pietrame appare rozza; si vedono ancora due cornici orizzontali in cotto.Nella parte superiore compaiono tre graziose cornici gotiche costituite da una fila di losanghette e di archetti trilobati, chiusi al di sotto da una striscia di mattoni a dente di sega: cornice tipica del gotico piemontese. Il campanile è coronato da una cuspide ottagonale, fiancheggiata da quattro pinnacoli.
Nel periodo compreso tra il 1692 e il 1699, la chiesa subì, al pari di altri edifici religiosi la profanazione da parte di diversi eserciti di passaggio. L'attuale grande sacrestia fu costruita solo qualche decennio più tardi.
Internamente l'opera più significativaè la grande icona ovale rappresentante la gloria e il trionfo di S.Vito. Essa occupa la parete di fondo dell'edificio; sembra databile alla fine del XVIII secolo ed attribuibile a Rocco Comaneddi.
L'ampliamento della chiesa avvenne gradualmente attraverso i secoli, prolungando in avanti le navate. L'assetto quasi definitivo della costruzione, corrispondente nella planimetria a quello odierno, venne raggiunto tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo.
La chiesa, a pianta longitudinale con pavimento in pietra di Barge costruito nel 1833, è suddivisa in tre navate. Fra le arcate e il cornicione, lungo le due pareti della navata centrale, corre una decorazione in stucchi dorati e allo stesso modo sono ornati gli archi della volta, intercalati da sei affreschi a partire dall'altare maggiore, disposti nell'ordine seguente: la Fede, Dio Padre, S.Gregorio Magno. S.Ambrogio, S.Agostino e S.Girolamo. La loro esecuzione fu commissionata nel 1853.
Gli altari laterali erano originariamente dodici. Ognuno di essi era proprietà di alcuni membri della famiglia dei conti di Piossasco, di altre famiglie nobili o di qualche compagnia religiosa.
La vasca del Battistero, sulla sinistra entrando, è l'oggetto più antico conservato nella chiesa di S.Vito. È di pietra bianca, scurita dal tempo, di forma ottagonale.
Sull'orlo della vasca corre un'iscrizione in caratteri gotici, che dice: "Hoc opus fecit fieri venerabilis religiosus frater Gabriel De Burriis de Plossasco, prior ecclesiæ Scti Viti, de dicto loco ad honorem Dei et Beatæ Mariæ Virginis ac beatorum martirum Viti, modesti atque Crescentiæ et totius curiæ coelestis. MCCCLXI".
Sotto l'orlo della vasca, quattro lati dell'ottagono sono ornati da uno stemma quello della famiglia De Buri.
Procedendo all'interno della chiesa, è da segnalare il dipinto del primo altare laterale destro raffigurante una Madonna con Bambino e Santi e firmato Zamorra. Nel quadro è ancora leggibile, per quanto attiene ai dati di stile, un significativo riferimento ai modi della tradizione caravaggesca piemontese.
Al primo altare della navata laterale sinistra, si può osservare il dipinto con Tobiolo e l'Angelo, databile intorno al 1750 e attribuito alla cerchia operante nella scuola del Beaumont (Carlo Francesco Beaumont lavorò a Torino dal 1731 come decoratore del Palazzo Reale, ristrutturato da Juvarra e come cartonista per la locale manifattura di arazzi).
Agli stessi anni e forse alla stessa scuola sembra riconducibile la tela dell'Angelo Custode, collocata al fondo della parete della navata laterale destra.
L'organo del 1842, recentemente restaurato, è stato costruito dai fratelli Bussetti. L'attuale facciata, in mattoni a vista con statue, fu costruita nel 1886; sulla sommità del timpano, si innalza la statua della Fede, recante una croce. E sulle volute laterali spiccano due figure rappresentanti, la Speranza, la Carità. Entro nicchie al di sopra e ai lati del portale di ingresso sono poste rispettivamente le statue di S.Vito, S.Modesto e S.Crescenza. Il piazzale che fiancheggia la parete sud della chiesa fu costruito tra il 1882 e il 1883.
La porta del Borgo Piazza
Dell'accesso all'abitato di S.Vito attraverso una grande porta antica abbiamo notizia per la prima volta in un documento del 1387, in una deposizione inquisitoriale raccolta da Antonio da Settimo. Dal testo di deduce che la porta era incorporata tra gli edifici e abitata anche sopra l'arco di volta com'è tutt'oggi.
La porta identificabile nell'arco di via S. Domenico Savio, era uno dei tre accessi al borgo antico attraverso quella che era la via Tupinaria, oggi ridotta a viottolo dismesso detto "Strà dei Babi" (rospi).
Lungo la via Tupinaria, che dal Marchile si inerpicava tra muri a secco costeggiando la peschiera fino ad incontrare il Borgo Piazza si trovavano stalle, un'osteria, botteghe di ciotole e vasellame (tupin), di conciatori di pelle e tessitori.
Per chi nel Medio Evo arrivasse attraverso questa via alla porta, si trovava di fronte l'abside e il campanile dell'originaria chiesa romanica, a destra di questa il monastero, a sinistra un piccolo cimitero e una maggiore spazialità rispetto ad oggi. Non c'era il terrapieno che conduce alla piccola porta sul lato di levante.
Della struttura originaria la porta conserva ancor oggi il mattonato a lisca di pesce della volta. Doveva probabilmente avere elementi di chiusura o difensivi di cui non ci rimane traccia documentabile.
Con l'apertura e lo sviluppo del borgo di S.Vito verso sud-est e sud-ovest la sua importanza venne meno. Questo disuso si accentua con la costruzione del convento francescano di S.Antonio da Padova nei prati sotto il castello nel XVII secolo.
Nella prima metà del XX secolo la porta rimane l'accesso rapido a S.Vito, fin quando la "Strà dei Babi" non diventa impraticabile.
Oggi sotto il suo arco vi transitano solo i proprietari delle case che vi si addossano.
La cappella del Prarosto
Circondata dalle case di Villaggio Pineta e di via Mario Davide, si trova la cappella del Prarosto dedicata alla Madonna delle Grazie.
Si tratta di una costruzione a pianta ottagonale che aveva originariamente un quadro icona della Madonna con in mano l'abito della confraternita del Carmine, una compagnia religiosa presente a Piossasco.
L'edificio risale alla seconda metà del XVII secolo, la tradizione popolare vuole che sia stata eretta per un voto fatto dalla popolazione nell'anno 1630 quando anche a Piossasco imperversava la peste.
Il prato su cui è stata costruita era probabilmente il lazzaretto e luogo di sepoltura di coloro che erano colpiti dal morbo.
Notizie certe sulla cappella si hanno a partire dal 1693 quando compare nel registro dei morti della chiesa di S.Vito.
Presso questa un contadino Francesco Bugni viene ucciso dai soldati francesi durante i fatti che precedono e seguono la Battaglia della Marsaglia.
L'altare in marmo e un manufatto risalente al secondo dopoguerra, anche questo donato dalla popolazione come segno di ringraziamento per lo scampato pericolo dai fatti tragici dell'ultima guerra mondiale.
Il toponimo curioso sembra risalire proprio al periodo della peste, quando per combattere questa calamità si dovevano bruciare su questo prato ogni cosa che fosse venuta a contatto con i contagiati.
Il Sangonetto
Dal versante sud occidentale della Montagna di Piossasco (Monte San Giorgio, Rubatabo, Montagnassa) discendono alcuni rii, asciutti nella maggior parte dell'anno e ingrossati dalle precipitazioni: il rio del Corno e il rio Monfalcone, che confluiscono nel rio Tori, a sua volta affluente del Chisola, principale corso d'acqua della piana tra Piossasco e Cumiana.
Quest'area nel medioevo era assai importante e profondamente inserita nel dominio dei signori di Piossasco, che controllavano anche la zona della Marsaglia, posta al di là del Chisola. Ma questi rii erano appena sufficienti a fornire acqua ai campi circostanti, mentre non servivano per irrigare il vasto ripiano che si estende a quota più elevata ai pie i e a montagna. Per irrigare questa porzione di territorio venne pertanto realizzato un imponente sistema di canalizzazioni ("bialere" in piemontese) che traggono le acque dal torrente Sangone con due canali principali: la Bialera Superio-re, che scorre a quota 350 m e si snoda per circa 10 km, dalla derivazione del Sangone presso Trana, fino al Rio del Corno; il Sangonetto, che scorre a valle del precedente, con portata maggiore, attraversando il centro di Piossasco per poi confluire nel Chisola.
Dal Sangonetto si dirama un sistema capillare minore, che interessa la parte orientale e meridionale della piana di Piossasco con diverse 'Igore" e bialere.
Lungo il co-so del Sangonetto, in via Piave, via Segheria e via Pellerino vi sono ancora tre mulini e una fucina, in disuso e abbandono. Di tale presenza c'è traccia fin dal basso medioevo, insieme a, quella dei battitoi per la lavorazione della canapa e della rusca: essa testimonia che l'acqua era stata ricercata con sacrificio ed ostinazione anche per l'ffistallazione di congegni idraulici e non solo per l'irrigazione. Da segnalare anche i principali ponti sul Sangonetto: Ponte Nuovo su via Pínerolo, il Ponte Vecchio o Punt Frúst presso il centro storico, e più a nord il Ponte Borgiattino. Notevole anche l'interesse ambientale e paesaggistico di questi canali, oggi purtroppo
sottovalutato.
La cascina Fernesa
Sulla strada che da Piossasco porta a Volvera ritroviamo ancora o esistevano anticamente importanti insediamenti rurali, alcuni di origine monastica, come la cascina del Priore e quella dell'Abate, incontriamo la cascina Fernesa. Questa offre la sua imponente facciata a due piani, la parte nobile lungo la strada. La struttura presenta edifici rurali annessi sul lato di ponente, disposti a forma di elle in modo da separare l'aia rurale dalla corte.Sul lato di levante un muro recintava un giardino di quasi due giornate piemontesi. La proprietà si estendeva nel 1784, quando viene censita nel catasto comunale, per 70 giornate a campo, 60 a prato, 33,5 ad alteno e 1 tra gerbido e orto per un totale con gli spazi abitativi di circa 180 giornate.
Nella parte signorile è presente una cappella dedicata a S.Margherita. La cascina viene più volte bruciata durante le guerre della Lega d'Augusta e di Successione, tra XVII -XVIII. Apparteneva ai Piossasco De Feys.La committenza della parte nobile su un edificio preesistente è da attribuire a Filiberto Piossasco-De Feys, personaggio eminente di corte, generale e gran mastro di artiglieria, inviato e ambasciatore presso le più importanti corti europee insignito del collare della SS.Annunziata.Troppo vicina alla strada Reale Torino-Pinerolo e troppo conosciuto il suo proprietario queste coincidenze determinano spesso la sua sfortuna, come nel 1691 quando il marchese De Feuquiere Comandante delle truppe francesi a Pinerolo ne ordina l'incendio perché il conte non vuol pagare la tassa d'occupazione. Il disastro della battaglia della Marsaglia, il conseguente nuovo abbruciamento dell'edificio, quando sulle sue terre si troveranno gli eserciti francese e Piemontese affiancato da diversi alleati, sarà risparmiato dalla sorte al conte Filiberto. Egli morirà qualche mese prima dello scontro armato l'8 giugno del 1693.
Nella cascina, nel 1749, vi si celebrò anche un avvenimento lieto. Nella cappella di S.Margherita la contessa Maria Eustachia Piossasco De Feys pronipote del conte Filiberto in terze nozze sposa Giuseppe Antonio Porporato.
La Borgata
L'attuale nucleo principale di Piossasco, la Borgata o Bourgià, si è proposto come centro del comune, in contrapposizione a San Vito, soprattutto dopo la scelta della comunità francescana, attorno al 1679, di costruirvi un nuovo convento, abbandonando quello sotto le mura del castello. Ai francescani si deve quindi la costruzione della chiesa, che dal 1799 è diventata sede della seconda parrocchia di Piossasco. Proprio intorno alla parrocchiale si trovano le piazze più interessanti: la grande piazza XX settembre, su cui prospetta una scalinata annessa all'edificio religioso; la piazzetta Diaz su via Roma,con la facciata ottocentesca di San Francesco e il porticato (ala) del mercato; la piazza Tenente Nicola, con il porticato del Municipio che ricorda la passata presenza del chiostro del convento. Proprio via Ro-ma e la poco distante via Palestro, costituiscono i due assi su cui si af-facciano le abitazioni un tempo in gran parte rurali del centro stor-co, e che si possono piacevolmente percorrere a piedi.
La chiesa di S. Francesco
L'attuale chiesa venne costruita dai francescani su una primitiva proprietà dell'ordine comprendente alcuni terreni e una casa verso la fine del XVII secolo. Sul lato di ponente si trovava il convento e il chiostro (attuale piazza Ten.Nicola). Con le leggi rivoluzionarie giacobine il convento viene soppresso e la proprietà di esso metà rimane alla chiesa secolare e l'altra diventa la nuova sede del comune. Dal 1799 è la sede della seconda parrocchia di Piossasco.
La prima costruzione, risalente probabilmente al 1679 a navata unica, corrispondente all'attuale centrale, non andava di molto al di là dell'attuale balaustra. Il costante aumento della popolazione rese nel tempo necessari successivi ampliamenti, una prima volta nel 1758 e poi ancora nel biennio 1857-59.La chiesa si arricchì delle navate laterali aumentando la sua lunghezza di 14 metri. Nella prima metà del nostro secolo fu dotata di un'ampia scalinata verso la piazza XX Settembre e fu ulteriormente ampliata verso piazza A.Diaz.
Questa nuova modifica inglobò il terrapieno antistante la porta principale dando alla costruzione una maggior proporzione. I nuovi lavori eseguiti tra il 1898-1902 sotto la direzione dell'architetto torinese Giuseppe Gallo portarono all'attuale facciata che si segnala per maggiore profondità e altezza, per la presenza di balaustre nella parte bassa e alta per una forma diversa delle finestre e del rosone centrale, per la forma stilizzata degli acroteri, per un arco di cornici.
L'antico mattonato della facciata e dell'intera chiesa resta visibile solo nella torre campanaria che evidenzia una probabile sopra elevazione rispetto al suo sviluppo primitivo. Sotto il castello delle campane è presente ancora il quadrante del antico orologio e campeggia la scritta TEMPORUM-AGUSTI-PATRUM-DIVI-ERANG-PIETAS-OPITUI-ANTE-COMP-MDCCLX. Tra le cose notevoli presenti all'interno della chiesa: l'ovale del Santo di Assisi e l'affresco di S.Antonio da Padova nella cupola dell'abside, il coro e in fondo, il palco dell'organo. Al tempo delle Guerre di Successione la chiesa ospitò davanti alla porta principale il cimitero di una piccola comunità boema presente nel paese.
La chiesa della Madonna dell'Olmo
Le prime notizie sulla chiesa si hanno dalla relazione della visita pastorale del 1668. La cappella a pianta rettangolare senza abside a ridosso delle case presenta un affresco rappresentante la sacra famiglia: la Madonna con Bambino, S.Giuseppe che stringe la verga fiorita e altre due figure identificabili in S.Vito con palma in mano e S.Antonio Abate.
E' la chiesa che nella sua iconografia racchiude sia la plurisecolare devozione dei piossaschesi per il martire S.Vito sia la più recente, medievale e rurale, per il santo egiziano,protettore degli animali e delle campagne, di cui esternamente e internamente la chiesa di S.Vito ci rimane più di una rappresentazione pittorica.
Identificata spesso come Chiesa dell'Olmo per la presenza di un esemplare di questa pianta abbattuta solo pochi anni orsono. La leggenda vuole che già in passato si ponesse mano all'accetta per abbatterlo ma l'evento miracoloso della apparizione dell'immagine della Madonna su un ramo appena tagliato fece recedere dal l'intento.
Dedicata originariamente alla Beata Maria Vergine delle Grazie fu ridedicata al SS.Nome di Maria quando il primitivo titolo passò alla cappella del Prarosto, edificata nella seconda metà del XVII secolo per adempiere al voto dello scampato pericolo per la peste del 1630.
La chiesa del Carmine
Eretta probabilmente sul finire del XVII-XVIII secolo.Particolarmente cara ai piossaschesi per la loro devozione alla Beata Vergine sotto il titolo del Monte Carmelo, diventata dal Settecento la protettrice del paese.
E' stata usata come comparrocchiale fino all'erezione della nuova parrocchia. Alla chiesa era anche legata una confraternita dedita alla manutenzione dell'edificio, alla organizzazione della festa. I confratelli si distinguevano per azioni di pietà e nell'annuale pellegrinaggio al santuario della Madonna di Avigliana. La Madonna del Carmine era invocata nei secoli passati soprattutto per i riti propiziatori della stagione agraria. La festa cadeva in luglio nel culmine della raccolta cerealicola. La struttura presenta tre navate interne, un campanile con copertura di foggia orientale,un'icona della Madonna sulla facciata che dà su un ampio terrapieno ciotolato con un decoro centrale di forma geometrica. Degli antichi arredi conserva un bel quadro della Madonna.
E' ricordata anche perché dal suono della sua campana prese avvio la rivolta per l'abolizione delle servitù feudali il 12 settembre 1791. Oggi sconsacrata è proprietà del comune,SALA CIVICA e sala conferenze.
Il monumento di Giuseppe Riccardo Lanza
La collina di S.Valeriano che a levante affianca il monte S.Giorgio e con quella dei castelli lo cinge presenta sulla cima a strapiombo sulla parete di nuda roccia dell'ex-cava una imponente e suggestiva scultura che volge il suo orizzonte alla pianura.
A più di trent'anni dalla sua realizzazione, il monumento slancia verso il cielo le sue braccia metalliche rese imponenti dal dislivello tra rilievo e pianura.
L'autore Giuseppe Riccardo Lanza di origine piossaschese nasce a Torino il 23 dicembre 1933.Il suo interesse per l'arte è precoce, si muove in più direzioni fino ad approdare a tecniche scultoree dove emerge l'elemento geometrico rivisitato in chiave fantastica.
E' del 1969 l'idea di una scultura in metallo da collocare sulla punta rocciosa della collina di S.Valeriano che accoglie chi arriva da sud-est o semplicemente vi transita per il territorio di Piossasco.
Durante la lavorazione di questo progetto denominato "montagna di Piossasco", l'autore partecipa ed espone in moltissime mostre nazionali ed internazionali ricevendo significativi riconoscimenti per le sue opere. Degno di essere segnalato il premio "Mirò" a Barcellona nel 1972.
Nello stesso anno pone sulla sommità individuata il modello alto otto metri, in legno della scultura. L'opera conclusa misurerà dodici metri. Steliforme,con geometrie di vuoti e pieni, sulla sommità le quattro parti che lo compongono tendono ad arco braccia che si incontrano al centro dando al tutto unità e senso del vuoto.
Nello spazio sottostante del'ex-cava l'artista nel 1975 pone mano ad un'altra opera; la scultura-palcoscenico utilizzando materiali poveri. L'intento era quello di valorizzare al meglio l'anfiteatro roccioso, la patere argentea di questa ferita inferta alla collina di S.Valeriano dalle estrazioni di ghiaia di inizio Novecento. Purtroppo l'ora è rimasta incompiuta anche per la morte tragica avvenuta il 24 febbraio 1986 dello artista-scultore.